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Martedì 16 luglio, ore 2024
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Il passaggio alla VITA

La commemorazione dei fedeli defunti che si celebra il 2 novembre ci permette di fare un’ attenta e fiduciosa riflessione sul significato del nostro nascere e morire.

In questo giorno, la Chiesa, invita a commemorare i fedeli defunti, a riportare alla mente e al cuore le persone care che sono passate da questo pellegrinaggio terreno alla vita eterna. Questo ricordare è importante perché ci aiuta a tornare alle nostre radici e a portare al cuore quelle persone che ci hanno preceduto nel cammino della storia. La storia è il luogo della salvezza, in essa Dio Padre ha pensato di realizzare il suo disegno di amore che si va compiendo nel tempo e nello spazio.

E’ pur vero che la morte pone fine agli affetti e alle relazioni, causando dolore e tristezza, ma la fede, così come professioamo nel Credo, ci ricorda altro rispetto a ciò che scaturisce dalla fragilità dell’umano.La parola di Dio ci aiuta e alimenta la virtù della speranza.

Nel libro di Giobbe, che la liturgia della parola ci offre per la celebrazione di questo mistero dice:«Io so che il mio redentore è vivo e che dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio» (Gb19,25).

Ricordare i defunti è per i cristiani una grande celebrazione della fede nella risurrezione: la morte non è la fine della realtà per gli uomini, e per quanti sono già morti. Andando verso il Signore Gesù, non siamo  da lui respinti, ma veniamo risuscitati per la vita eterna, la vita per sempre con lui che è il Risorto, il Vivente. Significa partecipare alla pienezza della santità, cammino alto che la Chiesa ci invita a fare e che viene celebrata proprio nel giorno precedente a questo. Celebrare questa memoria e ricordare i nostri cari significa allora, oltre che fare memoria delle nostre radici, significa anche portare a compimento il cammino della santità che trova attuazione proprio nell’esistenza terrena e che inizia con il Sacramento del Battesimo.  

Siamo accompagnati da una speranza, la stessa che il Vangelo di questa commemorazione ci offre:«Colui che viene a me, io non lo lascerò fuori» (Gv 6,37).

Il cristiano è colui che va da Gesù ogni giorno, anche se la sua vita è fatta di contraddizioni, di peccati, di infedeltà, di cadute, anche quando la paura e gli eventi sembrano mettere alla prova ogni certezza. Gesù non respinge, anzi  abbraccia, perdona, avvicina e ci conduce alla vita eterna dicendo:«Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno»(Gv 6,40).

La morte alla luce di Cristo è il passaggio alla vita, è la porta che ci spalanca all’eternità. Uno dei prefazi propri della messa dei defunti recita: “Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata una abitazione eterna nel cielo”.

Nella lettera i Corinti S. Paolo scrive:«Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1 Cor 15,55), espressione che permette di sfidare la morte, di interrogarla, di provocarla. San Paolo non ha paura perché sa che Cristo è risorto e con lui risorgeremo anche noi.

Gesù non ha promesso ai suoi amici che non sarebbero morti. Per lui il bene più grande non è una vita lunghissima, un infinito sopravvivere. Per lui l’essenziale non è il non morire, ma vivere della vita che solo lui può dare, perché è il Risorto ed il Vivente, il principio e la fine, è il tutto dove l’uomo è chiamato ad entrare in relazione con lui.




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