Gli zombie in mezzo a noi e il grande rumore
Eccoci al terzo manifesto della campagna “#CollegaMENTI rel@zioni oltre le connessioni”: un uomo in gondola, chiara allusione a Venezia, una delle città più belle del mondo. Eppure gli occhi di quest’uomo non sono che per il suo notebook, indifferente a tutta la bellezza dispiegata intorno. Magari sta scrivendo agli amici «meravigliosa Venezia…». Come vogliamo chiamarlo un personaggio di questo genere? Il termine più in voga è zombie.
Gli zombie esistono e camminano in mezzo a noi, talvolta si concentrano in uno stesso luogo. A me è capitato, ad esempio, di vederli ad una messa di Prima comunione: erano i genitori il cui primo pensiero non era abbracciare i propri figli, ma scattare una foto col cellulare.
Chi scrive è un adulto, neanche molto esperto. E scrive per parlare di comportamenti nella media … non di cose da codice penale, o pericolosamente prossime al codice penale. Normale comunicazione tramite social network. E mi scuserete se riprendo il discorso dalla figura a tutti noi molto cara di don Tonino.
Senza dubbio lui non era uno zombie. Ogni tanto mi capita di andare a riprendere una delle sue prime raccolte di scritti “Alla finestra la speranza” (1988). Lo sfoglio, rileggo quei titoli, molti con un nome proprio, su qualche scritto mi soffermo. Grande il fascino che continua a promanare da quelle pagine. Ecco il loro segreto: prima viene la vita vera, gli incontri con le persone in carne ed ossa, poi la comunicazione, condivisione che arricchisce la nostra umanità.
Al contrario, chi abbia un po’ di esperienza con i social network sa bene che molto spesso i contenuti che si ripetono sono tutt’altro che originali. Non si tratta neanche di notizie di cui si vuol aumentare la diffusione. Aforismi, frasi, immagini e filmati ad effetto, oppure divertenti, per altri cinque minuti di buon umore a buon mercato. Spesso commenti a notizie vecchie o non verificate, moderne catene di Sant’Antonio. In definitiva una somma di voci, un grande rumore, che finisce per distogliere l’attenzione da ciò che invece la meriterebbe. Non si può non pensare ad un grande spreco di tempo e di energie.
Con ciò non si vogliono demonizzare i social network, tutt’altro. In una piccola esperienza comunitaria in cui sono inserito, la creazione del corrispondente gruppo Whatsapp ha rappresentato un punto di svolta, un modo economico e semplice per intensificare le relazioni, tenerle vive tra un incontro e l’altro. Anche il “banale” messaggino di auguri su Facebook, trito e ritrito, in fondo non è altro che l’erede dei vecchi biglietti di auguri e dei telegrammi che ormai nessuno usa più. L’importante non è, evidentemente, il mezzo. Ma che la comunicazione sia a sostegno della relazione, e che non la sostituisca, che una vasta rete di interessi virtuali non copra una certa povertà di relazioni, di reale coinvolgimento.
Di fronte alla rete si ritorna ingenui: un “mi piace”, una condivisione, e ci si sente parte attiva di un processo, come gettare un sasso che generi onde che si espandono sulla superficie dello stagno. Senza pensare che infiniti sono i sassi nello stagno, e le onde interferiscono senza essere intellegibili. Dunque, salvo rare eccezioni, ancora increspature indistinte, il grande rumore di cui parlavamo sopra.
Sembra, dunque, una questione di misura. Ma anche sull’uso sobrio bisogna intendersi. Da anni, parlando di nuovi stili di vita, ci ripetiamo il termine “sobrietà”. Eppure può esserci un fondo di ambiguità: stiamo attenti a non abusare dei beni, perché? perché potrebbero servirci domani, per paura del futuro, per tirchieria? Allo stesso modo potremmo chiederci che senso hanno i fioretti quaresimali? Sono forse un modo per mettere a posto la coscienza, un altro mattone che aggiungiamo alla nostra personalissima torre di Babele? Direi di no. Tenere da parte beni e risorse, il tempo anzitutto, serve per investirli generosamente quando sarà il momento, in ciò che merita (Mt 13,44-45). l’uso intelligente e moderato dei social media, almeno per noi adulti, non è solo questione di dominio di sé. Diventa l’occasione per liberare risorse ed impegnarsi a investirle in tempo per la famiglia,le amicizie, le letture (magari la Lettura per eccellenza), il servizio, oppure, semplicemente, uno sguardo attento all’altro. E poi, quando davvero serve, raccontarlo su Facebook.
Lorenzo Pisani